La filosofia della disuguaglianza di santa Teresa di Lisieux
"In
un viaggio per ferrovia, la regola prevede che il macchinista e i
passeggeri occupino i rispettivi posti, il capostazione dia il segnale
di partenza e il treno si metta in movimento"
Plinio Correa de Oliveira
Un magistrale articolo di Roberto de Mattei sulla disuguaglianza in S. Teresina.
Chi ha dimestichezza con Plinio Correa de Oliveira, ricorderà uno dei suoi capolavori, "Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato ed alla Nobiltà romana" in cui tratta del medesimo argomento.
Luigi
05 Luglio 2019, Radici Cristiane
La
negazione delle disuguaglianze sociali in nome della nuova filosofia
dell’“inclusione” conduce, sul piano metafisico, al primato dell’ibrido,
dell’indistinto, dell’indifferenziato. Questa visione del mondo ha il
suo esito nel panteismo, poiché se il reale è privo di specifiche
disuguaglianze e identità, cade anche la differenza tra gli uomini e Dio
e tutto è confusamente divinizzato. D’altra parte il panteismo, negando
la trascendenza divina, nega necessariamente ogni forma di superiorità e
di gerarchia anche tra le creature, per fondere tutto in un magma
nebuloso e indistinto.
Questa
visione panteista ed ugualitaria può essere definita come gnostica,
perché corrisponde al pensiero della gnosi, antica e moderna. Ciò che la
gnosi afferma è l’indeterminazione di tutte le cose. Lo gnostico
aborrisce tutto ciò che è finito, individuato, determinato, a cominciare
dall’essere umano. L’antropologia gnostica esige la distruzione del
corpo umano, affinché l’anima possa essere assorbita e fondersi nel
pneuma divino.
Ma
c’è anche una filosofia della disuguaglianza, che è esposta da san
Tommaso d’Aquino in molti passi della sua Somma teologica e soprattutto
nella quaestio 47 della prima parte, dedicata alla pluralità e diversità
delle cose in generale. San Tommaso afferma che Dio produsse molte e
varie creature, perché quello che manca ad una per ben rappresentare la
divina bontà sia supplito da altra; la bontà, infatti, che in Dio è allo
stato di semplicità e di unità, si trova nelle creature in modo
complesso e frammentario. «Perciò più perfettamente partecipa e
rappresenta la divina bontà tutto l’universo, che qualsiasi particolare
creatura».
La
distinzione e la molteplicità delle cose – spiega il Dottore Angelico –
viene da Dio «che ha prodotto le cose nell’essere per comunicare la sua
bontà alle creature e per rappresentarla per mezzo di esse». Nel
Creato, sia ciò che è uno, sia ciò che è molteplice, riflette la
bellezza di Dio. Ogni cosa viene da Dio e a Dio tende: questo è
l’elemento comune. Ma ogni creatura riflette un frammento della infinita
perfezione divina.
Plinio
Corrêa de Oliveira ricorda a sua volta che la natura di Dio è tale che
un’unica creatura non riesce a rappresentarLo in modo sufficiente.
Quando crea, Egli non può che creare a Sua somiglianza, perché non
potrebbe farlo in nessun altro modo. Tuttavia, nessuna creatura, proprio
perché creatura, è in grado di presentare una somiglianza sufficiente
con Dio. Dio crea dunque creature molteplici, affinché, unendosi le une
alle altre, formino un mosaico e, attraverso questo mosaico,
un’immagine, che ogni piccola immagine, ogni frammento, da solo sarebbe
incapace di formare.
Esiste
perciò «un insieme di regole di estetica che ci possono facilitare la
conoscenza della bellezza posta da Dio nell’universo, quale punto di
partenza per salire alla considerazione della sua bellezza increata. La
più fondamentale di queste regole è la coesistenza armonica dell’unità e
della varietà» (Innocenza primordiale e contemplazione sacrale
dell’universo, Cantagalli, Siena 2013, p. 337).
Quanto
più elevata è la categoria degli esseri, animati o inanimati, tanto
maggiore è la disuguaglianza esistente fra loro. Dio è l’Essere
perfettissimo e le sue infinite perfezioni si riflettono in tutte le
creature che da lui ricevono l’essere. La più piccola delle creature, il
granello di polvere, il filo d’erba, il moscerino, l’embrione in cui è
stata appena infusa l’anima, riflettono, in maniera crescente, una
perfezione di Dio. Ma negli uomini, composti di anima e di corpo, le
disuguaglianze tra le anime sono più grandi di quelle che esistono tra i
corpi.
La
differenza tra le anime non è altro che la differenza delle grazie, che
esse ricevono da Dio e a cui esse sono chiamate a corrispondere. Santa
Teresa di Lisieux, nella sua Storia di un’anima, spiega in maniera
semplice, ma profonda, questa verità filosofica e teologica: «Per tanto
tempo mi sono chiesta perché Dio abbia delle preferenze, perché tutte le
anime non ricevano grazie in grado uguale, mi meravigliavo perché
prodiga favori straordinari a Santi che l’hanno offeso come san Paolo,
sant’Agostino e perché, direi quasi, li costringe a ricevere il suo
dono; poi, quando leggevo la vita dei Santi che Nostro Signore ha
carezzati dalla culla alla tomba, senza lasciare sul loro cammino un
solo ostacolo, che impedisse di elevarsi a lui, e prevenendo le loro
anime con tali favori da rendere quasi impossibile che esse macchiassero
lo splendore immacolato della loro veste battesimale, mi domandavo:
perché i poveri selvaggi, per esempio, muoiono tanti e tanti ancor prima
di avere inteso pronunciare il nome di Dio?»
«Ma
Gesù mi ha istruita riguardo a questo mistero. Mi ha messo dinanzi agli
occhi il libro della natura ed ho capito che tutti i fiori della
creazione sono belli, le rose magnifiche e i gigli bianchissimi non
rubano il profumo alla viola o la semplicità incantevole alla pratolina…
Se tutti i fiori piccini volessero essere rose, la natura perderebbe la
sua veste di primavera, i campi non sarebbero più smaltati di
infiorescenze. Così è nel mondo delle anime, che è il giardino di Gesù.
Dio ha voluto creare i grandi Santi, che possono essere paragonati ai
gigli ed alle rose; ma ne ha creati anche di più piccoli e questi si
debbono contentare d’essere margherite o violette, destinate a rallegrar
lo sguardo del Signore quand’egli si degna d’abbassarlo. La perfezione
consiste nel fare la sua volontà, nell’essere come vuole lui».
«Allo
stesso modo in cui il sole illumina i grandi cedri ed i fiorellini da
niente come se ciascuno fosse unico al mondo, così Nostro Signore si
occupa di ciascuna anima con tanto amore, quasi fosse la sola ad
esistere; e come nella natura le stagioni tutte sono regolate in modo da
far sbocciare nel giorno stabilito la pratolina più umile, così tutto
risponde al bene di ciascun’anima» (Gli Scritti, Postulazione Generale
dei Carmelitani Scalzi, Roma 1979, pp. 54-55).
Ogni
anima ha una missione da compiere, forse piccola agli occhi degli
uomini, ma grande agli occhi di Dio. E questo fino dai primi agli ultimi
giorni della vita. E a ognuno di noi Gesù dice: «Siate perfetti come il
Padre vostro che è nei Cieli» (Mt 5, 48). Essere perfetti non in modo
astratto, ma corrispondendo alla nostra vocazione, alla nostra identità,
alla specifica perfezione a cui siamo chiamati, che è diversa da uomo a
uomo, perché ognuno di noi è diverso nel modo di stare al mondo e di
amare Dio.
Chi
ama Dio deve amarlo come è, amarlo nella sua essenza e nelle sue
perfezioni; deve amarlo nella bellezza dell’alba e del tramonto; nella
profondità del mare e nell’immensità del cielo; nelle stelle del
firmamento, nei fiocchi di neve, nei granelli di sabbia, ma soprattutto
nelle anime, ognuna delle quali, come ogni ente creato, è unica e
irripetibile. Le creature devono essere amate perché nella loro varietà
riflettono l’unicità del loro Creatore, che trascende l’universo e non
ne fa parte. Amare le disuguaglianze legittime e giuste significa amare
Dio e la sua opera.
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