manicomio
Rosari e Crocifissi al TG2: effetti collaterali (il manicomio è vicino)
Da Il Timone
uno dei tanti articoli sulla vicenda degli attacchi alla presentatrice
televisiva Marina Nalesso per aver osato portare un crocefisso al collo
durante il TG2.
Ormai siamo in manicomio.
Luigi
21-6-19
Marina Nalesso ci è ricaduta: è comparsa in televisione, e precisamente
alla conduzione del Tg2 delle 13.00 di un giorno feriale di inizio
estate, con un Rosario al collo, ben evidente sopra una blusa rossa.
La giornalista è, come si diceva, una recidiva, dal momento che aveva
già “commesso la stessa colpa” in passato: prima nel 2016 e quindi
l’estate scorsa, in quell’occasione durante il Tg1 delle 13.30.
Evidentemente la tentata “rieducazione laicista”, esercitata a suon di
critiche talvolta anche molto spinose, non le è bastata. Critiche che,
naturalmente, non hanno mancato di farsi sentire neanche in questa
occasione. Tra tutti, il giornalista Michele Serra, che nella sua rubrica “L’amaca” su La Repubblica
ha definito la Nalesso una «mezzabusta confessionale», per poi
allargare il discorso e affermare: «Si tratta del Tg2 (quello delle 13),
privatizzato dal governo sovranista, con l’implicito logo Dio Patria
Famiglia che incombe su ogni inquadratura. Con una compattezza formale
che perfino memorabili tigì non blended, come Telecraxi e Telekabul,
nemmeno si sognavano […]. Non si potrebbe cortesemente evitare?». Dopo
aver quindi esaltato la Francia, dove probabilmente un comportamento
simile sarebbe «forse anche reato», Serra conclude con un “cortese”
suggerimento, ossia quello di «infilare il crocefisso sotto la
camicetta, badando che non urti il microfono».
Insomma, nel Paese culla del cattolicesimo, dove «tutti hanno diritto di
professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma,
individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato
o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon
costume», come cita l’articolo 19 della nostra Costituzione, la legge
non è uguale per tutti e per alcuni il crocifisso sarebbe meglio
nasconderlo per non rischiare di offendere i paladini di una laicità
volta a minare la libertà religiosa. E il paradosso, a ben vedere, è che
a sostenere questa posizione sono le stesse persone che si ergono fiere
in prima linea quando si tratta di difendere il moltiplicarsi delle
opzioni in materia di identità sessuata: in tal caso la tutela
dell’identità è sacrosanta, mentre scatta la censura quando in mezzo c’è
l’identità cattolica, che sia mostrata da una singola persona o da un
crocifisso (come hanno dimostrato i recenti casi di cronaca, per cui in
un seggio elettorale toscano il crocifisso è stato prontamente coperto con lo scotch
dalla moglie del candidato sindaco del Pd, o ancora a Pieve di Cento
(Bo) dove è stata avanzata la proposta di coprire le croci del
cimitero).
Eppure, come affermato proprio dalla stessa Nalesso in un’intervista video a Cristiani Today
rilasciata nel 2016, «la fede non si vive privatamente, è un
controsenso. Se una persona ha fede è quello che è in ogni singolo
istante […], la fede non può essere nascosta né nei gesti, né nei
simboli». Parole limpide, ispirate a quel «Sì, sì, no, no» di evangelica
memoria (cfr. Mt 5,37), di certo indigeste per Serra & Co.
A onor di cronaca è importante comunque sottolineare che in molti –
anche semplicemente in virtù del riconoscimento del fatto che l’Italia
ha una identità intrinsecamente cattolica o in nome del rispetto della
libertà religiosa – hanno appoggiato la scelta della giornalista Rai e
le hanno espresso solidarietà per gli attacchi che sta subendo. Tra
questi anche alcuni politici, quali Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Lorenzo Fontana.
Il caso della Nalesso, ad ogni modo, oltre a rimettere al centro il tema
della libertà religiosa e delle radici cristiane dell’Italia, funge
anche da spunto per riflettere su una questione di capitale importanza
innanzitutto come singoli fedeli: la scelta, da ripetersi
quotidianamente, di dire il proprio «Sì» al Signore. Anche a costo del
martirio.
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