L'Anticristo di Joseph Roth

Il testo di Joseph Roth: “L’Anticristo”
Diamo nomi falsi a cose vere. [… N]on sappiamo più esattamente che nome deve avere ogni cosa. Abbiamo solo il nome e le definizioni di forme, colori e dimensioni, ma non le riconosciamo più. Dato che siamo diventati ciechi, utilizziamo in modo sbagliato nomi e definizioni. Chiamiamo piccolo ciò che è grande e grande ciò che è piccolo, nero il bianco e bianco il nero. Chiamiamo le ombre luce e la luce ombra. Ciò che è vivo, morto; ciò che è morto, vivo. Così, nomi e definizioni perdono contenuto e significato.
Ma sarebbe semplicismo e stoltezza, come abbiamo già detto chiaramente, maledire le invenzioni e la ragione da cui provengono, poiché l’inventore non ha fatto altro che applicare la ragione, che è un dono di Dio. Tuttavia, utilizzando un dono divino otteniamo qualcosa di perverso: la componente malvagia si sarà introdotta tra il momento dell’invenzione e quello della sua applicazione. Così, per esempio, l’oro – che dovrebbe essere anch’esso un dono della natura, una benedizione della terra – si è trasformato in uno strumento dell’Anticristo, poiché dove questi si manifesta più chiaramente è nell’attività di trasformare in qualcosa di volgare ciò che è nobile nella sua essenza. Il senso della sua esistenza e delle sue azioni è esattamente quello di profanare il sacro, di svilire ciò che è nobile, di travisare ciò che è retto e di imbruttire ciò che è bello. Non contento del fatto che gli sia stato concesso il potere su ciò che è essenzialmente volgare – perché anche questo fa parte del mondo terreno –, cerca di estendere il suo dominio su ciò che è nobile. Ma dato che ciò che è nobile non si sottometterebbe mai al suo dominio se non cessasse di esserlo, la prima cosa che fa è trasformarlo in male. Il diavolo somiglia a un re violento il cui paese è sterile e che, per conquistare le fiorenti nazioni che lo circondano, comincia col trasformarle in contrade deserte affinché somiglino alla sua: se non le rendesse uguali al suo paese, non si sottometterebbero a lui. Ma l’Anticristo è peggiore rispetto a questo re violento, perché a quest’ultimo lo si vede, lo si sente e si soffre per le sue azioni, mentre il primo ha il potere di desertificare una terra fiorente mentre ci acceca a tal punto da farci credere che il deserto sia proprio un giardino fiorente. E mentre egli si dedica all’annichilimento, crediamo che stia costruendo. Quando ci dà delle pietre, pensiamo che ci stia dando del pane. Il veleno del suo calice ha per noi il sapore di una fonte di vita. E contempliamo lui, il principe dell’inferno, come si contempla un figlio del cielo e della terra allo stesso tempo, il che, finché ci troviamo in questa terra, ci sembra ancor più eccezionale che se fosse solamente figlio del cielo. Ci si presenta e ci parla in questo modo: “Volevano promettervi il cielo, ma io vi do la terra. Eravate costretti a credere in un Dio incomprensibile, ma io in cambio trasformo voi in dei. Credete che il cielo sia superiore alla terra, ma la terra è indubbiamente un cielo!”. E dato che è caratteristico della nostra natura desiderare continuamente di trasformarci in dei – giacché non dimentichiamo mai le nostre origini e siamo dei riflessi che cercano per tutta la vita la loro immagine originale –, l’Anticristo riesce a sedurci. In questo modo così semplice riesce a trasformare il nostro anelito più nobile in volgare invidia. Poiché l’anelito e l’invidia sono fratelli gemelli – uno bello e l’altra brutta – che però possono confondersi l’uno con l’altra.
In seguito mi recai nel paese in cui mi avevano detto che non si elevavano più grida di eserciti né esistevano persone maltrattate; lì la gente si sforzava di far brillare la verità, la giustizia e la ragione; lì era stato sconfitto l’oro, il metallo dell’Anticristo; lì veniva osservato il rispetto naturale per la vita dell’individuo e ogni vita era considerata sacra. Arrivai dunque alla capitale di quel paese. Si tratta di una città antica, bella e grande, con molte centinaia di chiese antiche. […] Visitai molte di quelle cupole e chiese […] e vidi che in molte di esse non si pregava più e che le campane erano state tolte dai campanili, così come le croci dalle cupole e dalle mura interne.
“Abbiamo liquidato Dio”, mi dicevano gli uni e gli altri. “Tutti dovrebbero imitarci! Come Lei stesso può osservare, non abbiamo eliminato solo la ricchezza, l’oro, l’imperatore e il carnefice, ma abbiamo anche spazzato via dal cielo tutta l’immondizia che vi si era accumulata nel corso della storia. Ora la terra è pulita e il cielo è vuoto”.
Ed era proprio così. Avevano preso due scope, una per pulire la terra e l’altra per pulire il cielo, e avevano dato loro persino dei nomi. La prima si chiamava ‘rivoluzione’, la seconda, ‘ragione umana’. Ma in questo paese vi erano ancora molti che erano in disaccordo con entrambe le scope o solo con una. Alcuni di essi potevano credere, certamente, che la terra era stata pulita, dato che potevano constatarlo coi loro stessi occhi. Ma non riuscivano a vedere il cielo e diffidavano della scopa chiamata ‘ragione umana’.
“Se diffidate della vostra stessa ragione”, dicevano gli spazzini, “è perché ne avete molto poca”.
Al che quelli rispondevano: “Forse siete voi che confidate tanto nella ragione perché ne avete molto poca. O forse ne avete persino più di noi, ma è possibile che oltre alla ragione umana ve ne sia un’altra divina, e che persino la vostra stessa ragione – pur essendo così grande – non sia sufficiente, come la nostra, che è scarsa, per riconoscere quella divina. Voi credete di sapere. Ma noi crediamo”.
“Ebbene, anche se aveste ragione”, replicavano gli spazzini, “e anche se esistesse veramente una ragione divina al di sopra della nostra, che è umana, non dovremmo riconoscerla. Ricordatevi che tutti i nostri oppressori si appellavano a quella ragione divina irriconoscibile e ci opprimevano in suo nome”.
“Lo ammettiamo”, risposero alcuni credenti più intelligenti. “È stato un peccato degli oppressori affermare con insolenza che solo loro, e non noi, potessero decifrare le intenzioni della volontà divina. E se l’avessero decifrata veramente, sarebbe stato un peccato doppio opprimerci appellandosi alla sua conoscenza. Infatti, anche se sappiamo ben poche cose, ogni credente sa che Dio non vuole l’oppressione. Oltretutto, siamo stati sciocchi a credere che i nostri potenti oppressori ne sapessero di più sui propositi di Dio. Questa è stata la nostra colpa, lo ammettiamo, ma la vostra è quella di negare qualcosa che non sapete se esiste o no. Sapete per esempio di dove viene l’uomo e dove va? Sapete cosa c’era prima della vostra nascita e cosa ci sarà dopo la vostra morte? Avete mai parlato con qualche morto o con qualcuno che non sia ancora nato?”.
Gli spazzini ci dissero: “Anche se potessimo parlare con gli aborti o con i morti, non lo faremmo: abbiamo troppe cose da fare per eliminare la miseria dei vivi. Non abbiamo tanto tempo a disposizione come voi. Ci atteniamo alla frase: ‘La religione è l’oppio dei popoli’”.
“Bene”, dissero i credenti intelligenti, “se non avete tempo, aspetteremo, perché noi ne abbiamo fino alla fine dei tempi”.
E i credenti andarono a pregare. Ma non li lasciavano in pace. Era curioso, in effetti, che proprio quanti affermavano di non avere tempo di parlare coi morti – ammesso che avessero potuto farlo –, riuscissero però a trovare il tempo sufficiente per molestare i fedeli.
Sull’immagine della Madre di Dio, esposta davanti a una delle entrate del palazzo degli spazzini, scrissero la frase del loro profeta: ‘La religione è l’oppio dei popoli’. Che razza di frase! Stupida, come tutte quelle che hanno la forza di sedurre l’udito della gente come una melodia appiccicosa. E così lontana dalla salvezza come una musica di strada. […]
Questo era il motto che avevano scritto sull’immagine della Madre di Dio. Tuttavia, molta gente pregava ogni giorno di fronte alla Sua immagine. Era come se Le chiedessero perdono per il motto che Le avevano affibbiato. E dato che in quel paese non vi era alcun ricco, quanti si inginocchiavano di fronte alla Madre di Dio erano poveri: lo erano dalla nascita o lo erano diventati, ma in ogni caso erano poveri. Erano il popolo, quindi. E nella Sua apparente impotenza di fronte al potere del motto appiccicoso, la Madre di Dio mostrava la Sua dignità, perché la Sua impotenza era percettibile e possedeva il potere apparentemente fragile di attrarre poveri disprezzati, vale a dire il popolo! Non prometteva nulla, non faceva miracoli, non pronunciava discorsi, era oggetto di burla, eppure vi furono persone che Le rimasero fedeli e si lasciarono disprezzare insieme a Lei. Tutti erano poveri. E dato che effettivamente – bisogna riconoscerlo – in quel paese si faceva tutto il possibile per il popolo, mi chiesi perché quei poveri continuassero a pregare. Cosa poteva trascinarli verso un potere a loro sconosciuto se potevano vedere che i poteri a loro conosciuti erano disposti ad aiutarli? Doveva trattarsi di carenze delle quali non è possibile parlare con le autorità conosciute e visibili. A una madre morì il figlio e i medici dell’ospedale furono impotenti contro la morte. Allora il medico le dette l’oppio della verità perché non soffrisse: fu tutto quello che poté fare. Una donna desiderava avere un figlio e la natura, nel suo mistero, non glielo concedeva. Un’altra non volle conservare quello che aveva nel ventre ed era addolorata per non averlo voluto mettere al mondo. Un uomo piangeva per il suo fratello morto che l’ordine perfezionato di questo mondo non fu capace di restituirgli. E altri pregavano semplicemente perché il loro cuore non ce la faceva più. Senza altri motivi. Perché anche se gli spazzini avevano ripulito la terra da ogni tipo di immondizia, non era possibile svuotare i cuori umani delle inspiegabili angosce di cui a volte sono pieni, senza una ragione identificabile. E anche se gli spazzini avessero potuto placare la fame e la sete, dare un tetto a tutti quelli che erano costretti a passare la notte all’addiaccio, letti e medicine ai malati, stampelle agli invalidi e cani guida ai ciechi – come era senza dubbio la loro intenzione –, sarebbero ancora rimasti cuori che avrebbero voluto qualcosa di diverso, vale a dire proprio ciò che i poteri terreni non possono ottenere. […] Siamo fatti di carne e spirito. Se un gatto si accontenta solamente di un po’ di latte e burro, a una persona non basta assolutamente aver bevuto e mangiato. E anche se le diamo libri, la portiamo a teatro e soddisfiamo la sua curiosità di conoscenze terrene, arriverà un momento in cui, come quel bambino che è ancora, chiederà: “Perché? Perché?”. Non vi sono risposte per tutte le sue domande, e nemmeno quando chiede: “Padre, perché mi hai abbandonato?”.
I primi ad essere sedotti dall’Anticristo furono gli intermediari di Dio. Solo successivamente arrivarono gli atei, apparsi in modo spontaneo. Ma persino chi si definisce ateo non è affatto senza Dio. Chi nega Dio, il rinnegato, è peggiore di chi si definisce ateo. Se qualcuno mi dice che non crede in Dio, mi sento triste per lui. Ma se qualcuno mi dice che crede in Dio e che l’ingiustizia è giustizia, lo maledico.
[I] falsificatori si definiscono sempre ‘verificatori’; i ladri, uomini d’onore; gli assassini, amanti. Chi vuole spacciare una menzogna per verità si definirà amante della verità. L’assassino viene di notte e chiede di entrare con dolci parole. L’ingiusto parla di giustizia […].
[Parlando a un ebreo indignato per la sorte inflitta al suo popolo.] “E dato che Lei ha subito un’ingiustizia così grande, vuole continuare a infliggerla? Se vede che agli ebrei viene inflitta un’ingiustizia, prova dolore solo per l’ingiustizia o sente doppiamente il dolore perché è un ebreo che la subisce?”.
“Entrambe le cose”, disse il debole.
“Se è così”, risposi, “potrebbe accadere che un giorno sarà Lei ad essere crudele, perché porta in Sé il germe dell’ingiustizia. E con che diritto viene qui ad accusare l’ingiusto?”.
Allora il debole mi lasciò con un sospiro che suonava come una maledizione. Sospirava e malediceva allo stesso tempo. Da questo riconobbi che anche su di lui, sul debole, governava l’Anticristo.
In seguito mi inviarono un uomo pio, un uomo della Santa Chiesa che indossava un abito marrone, un cordone intorno al corpo e una grande croce.
“Sia lodato Gesù Cristo!”, disse. “Sempre sia lodato!”, risposi.
“Vedo”, esordì, “che Lei lotta contro l’Anticristo. Voglio aiutarLa. Vengo da Roma, dalla città santa. Sono uno dei più umili servitori del papa, ma ho l’onore di trovarmi spesso vicino a lui. In alcune occasioni ho visto sul soglio di Pietro qualcun altro al posto del Santo Padre”. Il monaco tacque per un momento. Poi insisté: “Una persona completamente differente!”.
Anch’io tacqui per un bel po’, poi dissi: “È scritto che giungerà un tempo in cui l’Anticristo sederà sul soglio di Pietro ricoperto di tutti i segni della dignità pontificia. Mi dica, è già arrivato questo momento?”.
“Non lo so”, rispose il frate. “Sono solo uno degli ultimi servitori del palazzo del Santo Padre. Ma un giorno ho visto che il Santo Padre si era addormentato. Dormì solo per poche ore, ma durante quel tempo vi fu un’altra persona seduta sul suo eccelso trono. E proprio in quelle ore arrivarono gli inviati dei vari paesi pagani per fare la pace con la Santa Chiesa”.

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