Adoratori del nulla

domenica 30 ottobre 2016

don Elia. Adoratori del nulla

Pur conoscendo Dio, non l’hanno glorificato né confessato come Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrato il loro cuore insensato. Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti (Rm 1, 21-22).
Il sussidio pubblicato, con largo anticipo, per la preghiera comune che dovrebbe aver luogo in Svezia il 31 ottobre prossimo (ma che stiamo chiedendo al Cuore immacolato di Maria di impedire) è un gioiello di formalismo modernista. Non vi si percepisce più la minima preoccupazione per la verità dei contenuti professati da cattolici e protestanti, ma unicamente un’ossessiva attenzione a salvaguardare le forme. Se d’altra parte ci si desse pensiero di quel che gli uni e gli altri credono o meno, si sarebbe ovviamente obbligati a riconoscere che non c’è affatto accordo; questo creerebbe non pochi imbarazzi all’indiscutibile volontà di incontrarsi, riconciliarsi e collaborare. Allora ci si lancia in ideologici balletti verbali per un equo trattamento di precedenza nel nominare questi o quelli, per un uso non discriminatorio del maschile e del femminile, per un carattere non vincolante dei testi proposti, così da lasciare spazio alla spontaneità e all’improvvisazione in un evento che è stato preparato da mesi e definito nei minimi dettagli…

A prescindere dalla realtà effettiva, è l’aspetto formale che bisogna incondizionatamente salvare, in un’ottemperanza cieca agli imperativi categorici di una correctness di facciata cui è indifferente il contenuto reale. Ecco allora che si invita a ringraziare Dio per i doni della Riforma senza nemmeno accennare quali siano: essa è una grazia per la Chiesa e su questo non si discute; che di fatto l’abbia divisa non conta nulla. Ecco allora che si chiede perdono per i torti e le colpe del passato, ma senza individuarli e senza alcuna puntualizzazione storica sulle rispettive responsabilità: l’importante è pentirsi pubblicamente di non meglio specificati peccati altrui, non certo dei propri peccati attuali. Ecco allora che si rinnova l’impegno – fosse qualcosa di concreto, finalmente! – di proseguire nel dialogo (leggi: decostruzione delle identità religiose) e di porsi insieme a servizio di poveri e migranti (leggi: sostenere l’invasione sul piano ideologico e pratico).
Sul fronte opposto, c’è chi pensa di combattere questa pianificata deriva con una riproposizione invariata della filosofia e teologia neoscolastica, quasi che nella Chiesa, dopo quell’epoca, non si fosse prodotto più nulla di valido e di serio. Apparentemente imbattibili nelle loro argomentazioni tanto serrate quanto dotte, i paladini della conservazione sembrano convinti che ogni evoluzione socio-culturale equivalga ad una degenerazione e che sarebbe sufficiente, per rimediare a tutto, restaurare un sistema politico-ecclesiastico che per la verità, in quella forma ideale, storicamente non è mai esistito. Inutile tentare di aprire un dibattito in proposito: a colpi di sillogismi e bordate erudite, l’obiettore sarà inesorabilmente ridotto al silenzio o costretto ad accettare una visione del reale quanto meno improbabile, visto che su molti e importanti dettagli i suoi difensori sono spesso in disaccordo persino fra loro, accanendosi in accese diatribe senza via d’uscita.
Senza nulla togliere ai meriti di san Tommaso d’Aquino e dei suoi migliori commentatori, non si può firmare un assegno in bianco su qualsiasi conclusione teologica o morale che si ammanti della loro autorità. Nonostante le numerose acquisizioni irreversibili che dobbiamo loro, inoltre, non esiste comunque un sistema di pensiero perfetto, a maggior ragione se il suo oggetto è Dio. La rivelazione divina e la vocazione umana hanno un carattere soprannaturale; questo non è soltanto una parola, ma una realtà che ci supera all’infinito. Un sistema teologico che pretendesse di essere perfetto e autosufficiente cadrebbe nello stesso errore di fondo che si rimprovera alle filosofie contemporanee: quello di prodursi come costruzioni intellettuali che si giustificano da sé senza bisogno di alcun fondamento che le trascenda, ma che hanno perso il contatto con l’evidenza del reale. I sistemi filosofici moderni hanno generato mostri come Robespierre, Lenin, Hitler, Stalin, Mao, Pol-pot… Analogamente, gli eccessi speculativi della tarda scolastica degenerarono nel nominalismo, senza il quale un Lutero e un Calvino non si sarebbero mai potuti imporre.
È ovvio che nessun neoscolastico estremista ammetterà mai di negare praticamente la trascendenza divina, ma di fatto c’è una forte probabilità che non stia facendo altro che giocare con le parole e i concetti astratti. Il suo edificio intellettuale assomiglia molto ad un magnifico castello di cristallo che, oltre ad essere terribilmente fragile, lascia intravedere al proprio interno… il vuoto. Che Dio effettivamente esista o non esista, al limite, può risultare del tutto secondario, se non irrilevante: ciò che egli adora è il suo sistema concettuale, dietro il quale potrebbe pure nascondersi il nulla. Se quell’acuto speculatore non ha mai fremuto di sgomento e desiderio nell’irruzione della presenza divina, se il fuoco della Scrittura o la vampa dell’Eucaristia lo lascian gelido come il ghiaccio, se la sublimità dei riti lo annoia e stanca, a meno che non valga a nutrirne l’orgogliosa prosopopea… c’è il rischio che egli non sia altro che un abile sofista.
Ma cos’avrà mai in comune con coloro che combatte, apparentemente così diversi? Anch’essi, in fondo, adorano il nulla, mascherato però non da una costruzione teologica fossilizzata, bensì da un raffinato sistema intellettuale che prende a fondamento Kant, Hegel, Marx, Nietzsche, Wittgenstein, Adorno… È naturale che il secondo piaccia di più ai controllori del pensiero collettivo e ai magnati dell’editoria, divenendo così maggioritario; ma dietro non c’è niente – e non dev’esserci niente, altrimenti qualcuno potrebbe ricominciare a porsi domande e a pensare veramente, stufo delle risposte preconfezionate che gli sono propinate da una parte e dall’altra. D’accordo, quelle fornite da una scuola di pensiero tradizionalista saranno generalmente più sicure, mentre le eventuali deformazioni non toccheranno mai i livelli di assurdità delle idee propagandate dalla dittatura del relativismo; ma proprio l’abituale affidabilità della prima può rendere le sue trappole più insidiose. Chi, per uscire dal pelago dell’incultura attuale, si è lasciato mentalmente decostruire per acquisire un pensiero integralista, che farà quando resterà deluso pure da quello? A che potrà ancora aggrapparsi per rimettersi intellettualmente in piedi?
Quanti pericoli, Signore, in questa Chiesa confusa! La ricerca dell’unione con Te, a quanto pare, non interessa più a nessuno o quasi; le esperienze e le dottrine dei Santi stanno bene sui libri, come oggetto di studio accademico o risorsa di battaglie apologetiche: ma, quanto a poterle rivivere, gli uni diranno che i tempi sono cambiati, gli altri che occorre guardarsi dall’orgoglio e dall’illusione. Da una parte sproloquiano con l’ideologia della mistica politica, dall’altra mi tarpano le ali con l’osservanza materiale di pratiche e devozioni. I mistici del passato non sarebbero andati molto lontano, con queste premesse, e non hanno comunque avuto vita facile: basti pensare a Padre Pio, assediato tra i positivisti che lo accusavano di isteria e i legalisti che volevano obbligarlo a celebrare in mezz’ora. «Ma cchist’ so’ ppazz’…», avrà borbottato ogni tanto con il suo umorismo sapiente. A parte gli scherzi, è l’esperienza del Tuo mistero, Gesù, che mantiene la mente e il cuore sulla retta via; ci vuole un’adesione vitale alla Tua realtà.
Per non essere scomunicato come modernista, preciso che questa esperienza, per essere autentica, non può certo prescindere dalla sana dottrina, dallo stato di grazia e dalla comunione gerarchica del Corpo mistico. È proprio quest’ultima che, oggi, risulta particolarmente problematica: molti Pastori non sono più affidabili, anzi hanno spesso bisogno di farsi redarguire dai fedeli. Manteniamoci allora uniti ai successori degli Apostoli nella misura in cui esercitano il ministero in modo retto e fedele, riconoscendo nelle loro persone, al di là dei limiti individuali, la funzione divina che hanno ricevuto. Quando, di principio o di fatto, ci si pone fuori della comunione ecclesiale, alla lunga le deviazioni sono inevitabili, per quanto si protesti fedeltà alla Tradizione, e si finisce per smentire ciò che si pretende di difendere. Noi vogliam Dio, come si cantava un tempo: non la funzione di un sistema di pensiero, ma il Dio vivente che ci chiama a condividere – e già ora può farci pregustare – la Sua eterna beatitudine d’amore.

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