Peppone, don Camillo e le legnate dei misericordiosi
Anche Aldo Maria Valli, come MiL, ha pensato che Francesco abbia voluto "tirare le orecchie" a Benedetto XVI.
Ieri
avevamo riportato il contenuto dell'omelia che il Papa ha pronunciato
durante la Messa in S. Marta del 30.05.2017 in cui auspicava la capacità
dei vescovi ("dei pastori") a sapersi ritirare dal proprio gregge senza
mezze vie, a congedarsi in maniera definitiva.
Ovviamente
tali riflessioni erano scaturite dalla lettera di S. Paolo della
Liturgia del giorno ma avevamo trovato delle plausibili allussioni e dei
inequivocabili riferimenti a Benedetto XVI.
Lo
stesso pensiero lo ha avuto il Vaticanista RAI Aldo Maria Valli, di cui
riportiamo il preoccupato articolo, dal titolo eloquente.
Stesso
pensiero anche di Antonio Soccio, che senza mezzi termini, non le manda
a dire. Lo potete leggere qui, dal suo blog in un post di ieri. "Ecco èerchè bergoglio attacca Benedetto XVI"
Peppone, don Camillo e le legnate dei misericordiosi
di A. M. Valli, dal suo blog del 31.05.2017
È sempre interessante e istruttivo vedere come i paladini della
misericordia e del dialogo applicano questa linea di condotta quando si
esce dalla sfera dei princìpi e si entra in quella dei casi concreti.
Caso numero uno. Un cardinale di Santa Romana Chiesa, noto per il suo
appoggio alla linea misericordiosa e grande sostenitore dell’«Amoris
laetitia», intervistato in un libro intitolato «Solo il Vangelo è
rivoluzionario», a proposito del confratello cardinale Raymond Burke,
che invece sull’esortazione apostolica, come si sa, ha qualche «dubia» e
l’ha pure manifestato, dichiara, tutt’altro che misericordiosamente:
«Lui non è il magistero: il Santo Padre è il magistero, ed è lui che
insegna a tutta la Chiesa. L’altro dice solo il suo pensiero, non merita
ulteriori commenti. Sono le parole di un povero uomo».
Caso numero due. Un professore di teologia di un pontificio ateneo di
Roma, anch’egli filo-misericordioso, intervistato a proposito della
prefazione scritta dal papa emerito Benedetto XVI per il libro del
cardinale Robert Sarah «La forza del silenzio» (nella quale Ratzinger
esprime gratitudine e stima per il porporato responsabile della
Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti),
sostiene, anche qui mica tanto misericordiosamente, che per il papa
emerito bisognerebbe arrivare alla «morte istituzionale», che fra i due
papi «non può esserci coabitazione» e che «la veste bianca e la
loquacità, oltre alla residenza [del papa emerito], debbono essere
dettagliatamente normate».
Ohibò! Sono affermazioni forti. Stroncature belle e buone. Non
succede tutti i giorni che un
cardinale attacchi un altro cardinale
arrivando a dargli del «povero uomo». E non è neanche tanto normale che
un docente di un ateneo pontificio sostenga che per il papa emerito si
debba arrivare alla «morte istituzionale», ovvero che per lui non ci sia
più alcuna libertà di parola.
Queste prese di posizione, da parte di coloro che normalmente
grondano misericordia da tutti gli artigli e si presentano come i
portabandiera della Chiesa dialogante e antidogmatica, non risultano,
forse, un tantino contraddittorie?
E allora il confronto, il rispetto? E la parresìa? E la libertà di
parola? E la collegialità? E la sinodalità? Queste qui non sono forse
cose che stanno tanto a cuore ai paladini di cui sopra? E allora com’è
che se un cardinale Burke si permette di dire che nel magistero del papa
c’è qualcosa che non torna c’è subito un altro cardinale che salta su e
gli ricorda che «quello è solo il suo pensiero» (cosa palesemente non
vera) e lo insulta sul piano personale? E com’è che se il papa emerito
ha parole di stima e ammirazione per un cardinale di Santa Romana Chiesa
non allineato al modernismo e sollecito nel chiedere che il sacro sia
riconosciuto e rispettato, può succedere che un teologo di una
pontificia università salti su e dica che al papa emerito va messa la
museruola e, anzi, di più, occorre esiliarlo in qualche luogo remoto,
così da renderlo inoffensivo?
Come dite? Che sono un ingenuo? Che quelle cose lì, tipo il dialogo,
la sinodalità e tutto l’armamentario politically correct, lo sanno anche
i bambini, vanno bene finché si parla in generale e in via teorica, ma
quando invece si scende nel concreto bisogna picchiare duro? Come dite?
Che i paladini della misericordia e del dialogo, per instaurare la Nuova
Chiesa, non possono mica stare ad aspettare, o fare sconti? Che non è
possibile (come sosteneva un certo Stalin) fare la rivoluzione in guanti
di seta?
Ho capito: devo essere davvero ingenuo. Pensate un po’: ero convinto
che, almeno nella Chiesa, fosse valida la regola del rispetto nella
libertà delle idee.
Noto che i paladini della misericordia e del d
Anche Aldo Maria Valli, come MiL, ha pensato che Francesco abbia voluto "tirare le orecchie" a Benedetto XVI.
Ieri
avevamo riportato il contenuto dell'omelia che il Papa ha pronunciato
durante la Messa in S. Marta del 30.05.2017 in cui auspicava la capacità
dei vescovi ("dei pastori") a sapersi ritirare dal proprio gregge senza
mezze vie, a congedarsi in maniera definitiva.
Ovviamente
tali riflessioni erano scaturite dalla lettera di S. Paolo della
Liturgia del giorno ma avevamo trovato delle plausibili allussioni e dei
inequivocabili riferimenti a Benedetto XVI.
Lo
stesso pensiero lo ha avuto il Vaticanista RAI Aldo Maria Valli, di cui
riportiamo il preoccupato articolo, dal titolo eloquente.
Stesso
pensiero anche di Antonio Soccio, che senza mezzi termini, non le manda
a dire. Lo potete leggere qui, dal suo blog in un post di ieri. "Ecco èerchè bergoglio attacca Benedetto XVI"
Peppone, don Camillo e le legnate dei misericordiosi
di A. M. Valli, dal suo blog del 31.05.2017
È sempre interessante e istruttivo vedere come i paladini della
misericordia e del dialogo applicano questa linea di condotta quando si
esce dalla sfera dei princìpi e si entra in quella dei casi concreti.
Caso numero uno. Un cardinale di Santa Romana Chiesa, noto per il suo
appoggio alla linea misericordiosa e grande sostenitore dell’«Amoris
laetitia», intervistato in un libro intitolato «Solo il Vangelo è
rivoluzionario», a proposito del confratello cardinale Raymond Burke,
che invece sull’esortazione apostolica, come si sa, ha qualche «dubia» e
l’ha pure manifestato, dichiara, tutt’altro che misericordiosamente:
«Lui non è il magistero: il Santo Padre è il magistero, ed è lui che
insegna a tutta la Chiesa. L’altro dice solo il suo pensiero, non merita
ulteriori commenti. Sono le parole di un povero uomo».
Caso numero due. Un professore di teologia di un pontificio ateneo di
Roma, anch’egli filo-misericordioso, intervistato a proposito della
prefazione scritta dal papa emerito Benedetto XVI per il libro del
cardinale Robert Sarah «La forza del silenzio» (nella quale Ratzinger
esprime gratitudine e stima per il porporato responsabile della
Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti),
sostiene, anche qui mica tanto misericordiosamente, che per il papa
emerito bisognerebbe arrivare alla «morte istituzionale», che fra i due
papi «non può esserci coabitazione» e che «la veste bianca e la
loquacità, oltre alla residenza [del papa emerito], debbono essere
dettagliatamente normate».
Ohibò! Sono affermazioni forti. Stroncature belle e buone. Non
succede tutti i giorni che un
cardinale attacchi un altro cardinale
arrivando a dargli del «povero uomo». E non è neanche tanto normale che
un docente di un ateneo pontificio sostenga che per il papa emerito si
debba arrivare alla «morte istituzionale», ovvero che per lui non ci sia
più alcuna libertà di parola.
Queste prese di posizione, da parte di coloro che normalmente
grondano misericordia da tutti gli artigli e si presentano come i
portabandiera della Chiesa dialogante e antidogmatica, non risultano,
forse, un tantino contraddittorie?
E allora il confronto, il rispetto? E la parresìa? E la libertà di
parola? E la collegialità? E la sinodalità? Queste qui non sono forse
cose che stanno tanto a cuore ai paladini di cui sopra? E allora com’è
che se un cardinale Burke si permette di dire che nel magistero del papa
c’è qualcosa che non torna c’è subito un altro cardinale che salta su e
gli ricorda che «quello è solo il suo pensiero» (cosa palesemente non
vera) e lo insulta sul piano personale? E com’è che se il papa emerito
ha parole di stima e ammirazione per un cardinale di Santa Romana Chiesa
non allineato al modernismo e sollecito nel chiedere che il sacro sia
riconosciuto e rispettato, può succedere che un teologo di una
pontificia università salti su e dica che al papa emerito va messa la
museruola e, anzi, di più, occorre esiliarlo in qualche luogo remoto,
così da renderlo inoffensivo?
Come dite? Che sono un ingenuo? Che quelle cose lì, tipo il dialogo,
la sinodalità e tutto l’armamentario politically correct, lo sanno anche
i bambini, vanno bene finché si parla in generale e in via teorica, ma
quando invece si scende nel concreto bisogna picchiare duro? Come dite?
Che i paladini della misericordia e del dialogo, per instaurare la Nuova
Chiesa, non possono mica stare ad aspettare, o fare sconti? Che non è
possibile (come sosteneva un certo Stalin) fare la rivoluzione in guanti
di seta?
Ho capito: devo essere davvero ingenuo. Pensate un po’: ero convinto
che, almeno nella Chiesa, fosse valida la regola del rispetto nella
libertà delle idee.
Noto che i paladini della misericordia e del dialogo, quando
diventano nervosi e perdono le staffe, spostano la discussione: dal
piano delle idee si passa all’attacco personale. Non si entra nel
merito. C’è solo un avversario da squalificare. La distinzione non è
più tra vero e falso, tra giusto e sbagliato. No, l’unica distinzione
che conta è tra utile e dannoso. Così non si sta a guardare se, per
caso, il cardinale Burke, nel fare le pulci ad «Amoris laetitia»,
sostiene tesi assurde o plausibili. No, gli si dà del «povero uomo».
Allo stesso modo, se il papa emerito elogia un cardinale come Sarah, che
dimostra di avere a cuore le sorti della liturgia e quindi della fede,
non ci si prende la briga di analizzare ciò che Sarah dice nel merito.
No: si chiede semplicemente che il papa emerito sia neutralizzato perché
non possa più interferire.
Stavo proprio pensando al papa emerito e all’idea, sostenuta dai
paladini della misericordia, secondo cui dovrebbe starsene zitto e
buono, quand’ecco che martedì 30 maggio, durante la messa del mattino a
Santa Marta, il papa regnante se ne esce con questa riflessione:
«Preghiamo per i pastori, per i nostri pastori: per i parroci, per i
vescovi, per il Papa; perché la loro sia una vita senza compromessi, una
vita in cammino, e una vita dove loro non si credano al centro della
storia e così imparino a congedarsi».
Imparino a congedarsi? Perché questa annotazione? Chi, nello specifico, avrebbe bisogno di imparare a congedarsi?
Papa Francesco sta pensando alla rinuncia al pontificato, ha detto
qualche commentatore. Il sottoscritto ha invece l’impressione che il
messaggio partito da Santa Marta fosse diretto al vicino ex monastero
Mater Ecclesiae, casa del papa emerito.
Impressione che si fa ancora più netta quando il papa regnante, di
punto in bianco, dopo aver detto che «tutti [noi] i pastori dobbiamo
congedarci», spiega: «Arriva un momento dove il Signore ci dice: vai da
un’altra parte, vai di là, va di qua, vieni da me. E uno dei passi che
deve fare un pastore è anche prepararsi per congedarsi bene, non
congedarsi a metà».
Non congedarsi a metà? Chi dovrebbe imparare a farlo?
Non so perché, ma di fronte alle allusioni del papa regnante, così
come alle esternazioni del cardinale che dà dal «povero uomo» al suo
confratello Burke e alle tesi del teologo secondo cui il papa emerito
dovrebbe essere ridotto a una condizione di «morte istituzionale», mi è
venuto alla mente Peppone quando se la prende con i polli di don
Camillo: «Eliminazione, ho detto! Eliminazione fisica!».
Al che don Camillo, ne sono convinto, replicherebbe: «Gesù, tenetevi forte, che qui sono legnate!».
Aldo Maria Valli
ialogo, quando
diventano nervosi e perdono le staffe, spostano la discussione: dal
piano delle idee si passa all’attacco personale. Non si entra nel
merito. C’è solo un avversario da squalificare. La distinzione non è
più tra vero e falso, tra giusto e sbagliato. No, l’unica distinzione
che conta è tra utile e dannoso. Così non si sta a guardare se, per
caso, il cardinale Burke, nel fare le pulci ad «Amoris laetitia»,
sostiene tesi assurde o plausibili. No, gli si dà del «povero uomo».
Allo stesso modo, se il papa emerito elogia un cardinale come Sarah, che
dimostra di avere a cuore le sorti della liturgia e quindi della fede,
non ci si prende la briga di analizzare ciò che Sarah dice nel merito.
No: si chiede semplicemente che il papa emerito sia neutralizzato perché
non possa più interferire.
Stavo proprio pensando al papa emerito e all’idea, sostenuta dai
paladini della misericordia, secondo cui dovrebbe starsene zitto e
buono, quand’ecco che martedì 30 maggio, durante la messa del mattino a
Santa Marta, il papa regnante se ne esce con questa riflessione:
«Preghiamo per i pastori, per i nostri pastori: per i parroci, per i
vescovi, per il Papa; perché la loro sia una vita senza compromessi, una
vita in cammino, e una vita dove loro non si credano al centro della
storia e così imparino a congedarsi».
Imparino a congedarsi? Perché questa annotazione? Chi, nello specifico, avrebbe bisogno di imparare a congedarsi?
Papa Francesco sta pensando alla rinuncia al pontificato, ha detto
qualche commentatore. Il sottoscritto ha invece l’impressione che il
messaggio partito da Santa Marta fosse diretto al vicino ex monastero
Mater Ecclesiae, casa del papa emerito.
Impressione che si fa ancora più netta quando il papa regnante, di
punto in bianco, dopo aver detto che «tutti [noi] i pastori dobbiamo
congedarci», spiega: «Arriva un momento dove il Signore ci dice: vai da
un’altra parte, vai di là, va di qua, vieni da me. E uno dei passi che
deve fare un pastore è anche prepararsi per congedarsi bene, non
congedarsi a metà».
Non congedarsi a metà? Chi dovrebbe imparare a farlo?
Non so perché, ma di fronte alle allusioni del papa regnante, così
come alle esternazioni del cardinale che dà dal «povero uomo» al suo
confratello Burke e alle tesi del teologo secondo cui il papa emerito
dovrebbe essere ridotto a una condizione di «morte istituzionale», mi è
venuto alla mente Peppone quando se la prende con i polli di don
Camillo: «Eliminazione, ho detto! Eliminazione fisica!».
Al che don Camillo, ne sono convinto, replicherebbe: «Gesù, tenetevi forte, che qui sono legnate!».
Aldo Maria Valli
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