BERGOGLIO ATTACCA BENEDETTO XVI

ECCO PERCHE’ BERGOGLIO ATTACCA BENEDETTO XVI

31/5/2017
A corredo del mio articolo (qua sotto) suggerisco la lettura di QUESTO editoriale di Matthew Schmitz uscito su “First Thing”.
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Il “vescovo vestito di bianco” (come Bergoglio si è definito a Fatima), ieri ha attaccato frontalmente il papa, Benedetto XVI che – per restare alla visione del “Terzo segreto” – somiglia molto all’altro protagonista di quella profezia: “il Santo Padre mezzo tremulo, con passo vacillante, afflitto di dolore e di pena”.

L’ATTACCO
Durante l’omelia di Santa Marta – quella in cui lancia messaggi, fulmini e avvertimenti – Bergoglio ha preso spunto da una lettura della messa, che parlava del congedo di san Paolo dalla comunità Efeso, per scagliarsi contro “il pastore che non sa congedarsi e si crede il centro della storia”.
Così ha sintetizzato la Radio Vaticana. E “Vatican Insider” – sito ultrabergogliano – ha titolato allo stesso modo: “Il vescovo deve sapersi congedare, non è il centro della storia”. Sottotitolo: “Il Papa a Santa Marta: il pastore deve lasciare bene, non ‘a metà’… e ‘senza appropriarsi del gregge’ ”.
“Vatican insider” ha provveduto a illustrare l’articolo con una foto dove si vede Bergoglio in elicottero: è un richiamo esplicito al volo in elicottero con cui il 28 febbraio 2013, dopo la “rinuncia”, Benedetto XVI lasciò il Vaticano per Castelgandolfo.
I due titoli sintetizzano bene la durissima omelia dove in effetti il papa argentino se l’è presa (senza nominarlo) con Ratzinger, “il pastore che non impara a congedarsi”.
Bergoglio indica l’esempio di san Paolo che “non ha fatto del suo gregge un’appropriazione indebita”. Come l’apostolo – dice Bergoglio – non bisogna credersi “il centro della storia, della storia grande o della storia piccola”, ma solo “un servitore”.
Perché ha rivolto questo duro attacco contro Benedetto XVI? In altre occasioni aveva citato proprio il silenzio del papa emerito come esempio di distacco e di discrezione. Ma in questi giorni Benedetto XVI ha parlato. Perciò è diventato il bersaglio da colpire.
Infatti la conclusione dell’omelia bergogliana è eloquente: “preghiamo per i pastori, per i nostri pastori, per i parroci, per i vescovi, per il Papa, perché loro non si credano che sono al centro della storia e così imparino a congedarsi”.

AUTOGOL
Questa omelia è un colossale autogol. Perché Bergoglio ha sempre conquistato poltrone ecclesiastiche senza mai lasciarle e addirittura contravvenendo al voto fatto (come gesuita) di non accettare cariche.
Del resto se c’è un papa che si crede “al centro della storia” (perfino con l’ambizione di cambiare in modo “irreversibile” la Chiesa) è proprio lui, non certo il mite e umile Benedetto.
Così pure fa pensare allo stesso Bergoglio l’immagine del pastore che “si appropria” del gregge, focalizzandolo su se stesso.
Peraltro l’episodio di san Paolo da cui egli ha tratto spunto – a leggerlo bene – ci dice qualcosa di opposto rispetto al messaggio bergogliano.
Infatti l’Apostolo chiama a sé gli anziani della Chiesa di Efeso e li saluta dopo che è dovuto fuggire da quella città a causa di una sommossa orchestrata contro di lui dagli orafi che lucravano sulla fabbricazione di idoli pagani.
E’ stato dunque cacciato via, non si congeda di sua volontà. Perciò il raffronto con Benedetto XVI fa riflettere.
Del resto san Paolo, in quel saluto agli anziani della comunità, ricorda loro come si è comportato fin dal primo giorno del suo arrivo e usa parole che si adattano perfettamente al pontificato di papa Ratzinger: “ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e tra le prove”, cioè tra molte ostilità e “non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi, scongiurando Giudei e Greci di convertirsi a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù Cristo”. Paolo dice poi di sapere che “mi attendono catene e tribolazione”.
Infine l’Apostolo dichiara: “io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge; perfino di mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse per attirare discepoli dietro di sé. Per questo vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato di esortare fra le lacrime ciascuno di voi”.
Di tutto questo non c’è traccia nell’omelia di Bergoglio, a cui interessava solo affermare che un pastore deve “congedarsi bene, non congedarsi a metà”.
E’ chiaro che pretende l’oscuramento totale di Benedetto XVI invece di mettere a tema la sua misteriosa e inspiegabile “rinuncia” e il suo “papato emerito”.
ANCORA PAPA
Se lo facesse dovrebbe riconoscere che effettivamente è ancora papa, come qui andiamo scrivendo da tre anni, prendendoci gli anatemi dei fan bergogliani.
Tantissimi sono gli indizi. Ne riassumo tre: la decisione (del tutto inedita) di restare “papa emerito”, dentro il recinto di san Pietro, con la veste, i simboli e il titolo pontificio.
Poi le parole esplicite con cui egli ha spiegato la sua scelta: “La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. Non ritorno alla vita privata”.
Infine basta rileggere l’esplosiva conferenza fatta dal segretario di Benedetto XVI, alla Gregoriana, il 22 maggio 2016.
Già il canonista Stefano Violi, studiando la “declaratio” di papa Benedetto, concluse: “(Benedetto XVI) dichiara di rinunciare al ‘ministerium’. Non al Papato, secondo il dettato della norma di Bonifacio VIII; non al ‘munus’ secondo il dettato del can. 332 § 2, ma al ‘ministerium’, o, come specificherà nella sua ultima udienza, all’ ‘esercizio attivo del ministero’ ”.
Mons. Georg Gaenswein, nella conferenza di un anno fa, approfondì questa lettura, evocò uno “stato d’accezione” che aveva provocato questa situazione unica, e, fra molte altre clamorose affermazioni, disse: “non vi sono dunque due papi, ma de facto un ministero allargato – con un membro attivo e un membro contemplativo. Per questo Benedetto XVI non ha rinunciato né al suo nome, né alla talare bianca. Per questo l’appellativo corretto con il quale rivolgerglisi ancora oggi è ‘Santità’; e per questo, inoltre, egli non si è ritirato in un monastero isolato, ma all’interno del Vaticano – come se avesse fatto solo un passo di lato per fare spazio al suo successore e a una nuova tappa nella storia del papato”.
Lo stesso card. Gerhard Müller, Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, ha fatto suo questo clamoroso affresco dichiarando: “Per la prima volta nella storia della Chiesa abbiamo il caso di due legittimi papi viventi (…). Questa situazione inedita deve essere affrontata teologicamente e spiritualmente. Su come farlo, ci sono diverse opinioni. Io ho mostrato che pur con tutte le diversità che riguardano la persona e il carattere, tuttavia anche il legame interno deve essere reso visibile”.
Quale legame? Il cardinale risponde: “Si tratta del confessare [proclamare la fede in] Gesù Cristo, che è la ‘ratio essendi’, il vero fondamento del Papato, che tiene insieme la Chiesa nell’unità in Cristo”.
GRAVE SITUAZIONE
Proprio per questo, perché è in pericolo la fede stessa della Chiesa, Benedetto XVI, nei giorni scorsi, è uscito dal suo silenzio con la formidabile post-fazione al libro del card. Sarah.
In essa, difendendo il cardinale africano, prefetto della Congregazione per il culto (“con il card. Sarah la liturgia è in buone mani”), ha messo un macigno sulla strada di quell’establishment bergogliano che sta progettando la “rivoluzione” della liturgia e dell’Eucaristia, che sarebbe un colpo mortale alla sopravvivenza della Chiesa cattolica.
La decisione di uscire così allo scoperto è dovuta dunque alla gravità della situazione e per questo (come ho scritto nei giorni scorsi) ha provocato furibondi attacchi dei bergogliani contro Benedetto XVI.
Il teologo Andrea Grillo è arrivato a parlare di “rinuncia alla rinuncia” e di interferenza nelle “decisioni del suo successore”. Ma più pesante è stato l’anatema di ieri di Bergoglio. Segnale di guerra.
Secondo qualcuno potrebbe perfino essere letto come un guanto di sfida, in previsione di una “rinuncia” dello stesso Bergoglio. Ma lui non è uomo da mollare il potere.
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Antonio Socci
Da “Libero”, 31 maggio 2017
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