FATIMA LIQUIDATA
don Elia. Fatima liquidata
Ci sono due vie per diventare refrattari alla realtà – alla realtà pura e
semplice, quella che si mostra nella sua evidenza a chiunque abbia una
mente sana. Una è quella del sentimentalismo narcisistico: ripiegato su
ciò che “sento” o “non sento”, sono tutto teso a gustare le mie
sensazioni, pensando di trovarvi Dio o di percepire la sua grazia quasi
fosse un fenomeno fisico, piuttosto che un dono soprannaturale. L’altra è
quella dell’intellettualismo contorto, che “piega” la realtà ai miei
schemi mentali fino a farvi rientrare qualsiasi cosa, anche la più
abnorme. Il denominatore comune è la centralità dell’io, che ha bisogno
di garantire il proprio benessere. La seconda opzione è da sempre la
specialità dei clericalismi di opposte sponde, ma anche la prima, grazie
ai movimenti ecclesiali, si è conquistata un posto di tutto rispetto.
Sono poi possibili anche varie combinazioni: per giustificare scelte
dettate dall’emotività, posso sempre tentare ardite arrampicate sugli
specchi con gli attrezzi della teologia, antica o moderna.
La prima opzione ha reso moltitudini di cattolici perfettamente
malleabili dalla sistematica opera di mistificazione con cui si camuffa
l’apostasia; basta fornire loro regolarmente occasioni per provare
emozioni forti e inghiottono qualsiasi enormità: «È stato così bello…!».
La seconda ha generato schiere di intellettuali dalle idee chiare e
distinte con cui, in linea di principio, si può giustificare tutto e il
contrario di tutto. In questo caso la vita cristiana si trasforma in un
edificio concettuale che assicura la salvezza in base alla conoscenza di
un insieme di dottrine e all’attuazione esterna di un certo numero di
riti e precetti, con la benedizione di una grazia (o misericordia, a
seconda del contesto) puramente nominale, tale da risolvere
apparentemente l’impasse di esigenze evangeliche irrealizzabili con le
sole forze umane. Di santificazione personale, in ogni caso, neanche a
parlarne: il minimo sindacale per essere in regola diventa il massimo
cui si possa aspirare; i Santi, sì, son brava gente, ma non oserai mica
pretendere di imitarli?!?
Di quel fuoco divino che il Figlio di Dio è venuto ad accendere sulla
terra (cf. Lc 12, 49), in un caso come nell’altro, non si vede traccia,
salvo a farsi illusioni. Troppo pericoloso per i castelli di carte. È
molto più comodo, in fin dei conti, continuare a sbraitare rabbiosamente
contro gli scandali della “neochiesa” oppure, sull’altro versante,
persistere nei patetici tentativi di normalizzazione con fette di
mortadella sempre più spesse sugli occhi o, ancora, impastare tutto di
melassa sentimentaloide con tanto di sospiri sapienti: «Finalmente! Ci
voleva un papa così!». Di fatto, la vita dell’anima langue, rimpiazzata,
a seconda degli ambienti, da dotte controversie, equilibrati
aggiornamenti o esaltanti bagni di folla. Degli insegnamenti dei Santi
si selezionano le profezie apocalittiche o, al contrario, le presunte
anticipazioni del Vaticano II; detti ed esempi di ascesi e preghiera
sono molto meno popolari, mentre le loro severe rampogne valgono sempre
per gli altri…
I pastorelli di Fatima sono stati canonizzati perché hanno visto la
Madonna? – si chiedeva in questi giorni un giovane sacerdote che prepara
un dottorato in sacra teologia. Certamente no: non basta ricevere
visioni per farsi santi, ci vuole un esercizio delle virtù portato ad un
grado eroico. I bambini sono in grado di raggiungere l’eroicità delle
virtù? A quanto pare, sì: Francesco e Giacinta, dopo aver visto
l’Inferno, presero assolutamente sul serio l’invito della Signora a
pregare e fare penitenza per i poveri peccatori, troppi dei quali vi
finiscono perché non c’è chi si sacrifichi per loro. Perciò i due
fratellini, finché non si ammalarono per la spaventosa epidemia detta
“spagnola” (probabile frutto di un esperimento di guerra batteriologica
sfuggito di mano), si gettarono a corpo morto, con la tipica radicalità
dei bambini, nella recita di innumerevoli rosari e nella pratica di dure
penitenze fisiche. Da ammalati offrirono le loro terribili sofferenze e
la loro stessa morte per la conversione dei peccatori; Giacinta
sopportò persino, per la stessa intenzione, un’operazione senza
anestesia al petto, dove le si era aperta un’enorme piaga purulenta.
Come vedete, non siamo nel campo delle idee né dei sentimenti. I
veggenti di Fatima – soprattutto Lucia – conoscevano bene il Catechismo
ed erano cresciuti in un’intensa religiosità familiare, ma questo non
esaurì la loro vita cristiana, bensì li dispose ad associarsi alla
Passione del Signore e della Madre Sua, che aveva loro mostrato il
proprio Cuore circondato di spine. Il vescovo vestito di bianco
può pure ironizzare sul messaggio di Fatima per demolirlo senza darlo a
vedere, poco prima di canonizzare due di loro senza nemmeno accennare al
modo in cui si sono santificati e al motivo per cui la Chiesa li
propone come esempi da imitare. La realtà tuttavia (quella realtà pura e
semplice da cui siamo partiti) è che quel Gesù che «ha pagato per noi
sulla Croce» ha sempre unito alle Sue sofferenze salvifiche, fin
dall’inizio, dei cristiani che, come la Madonna sul Calvario,
cooperassero con Lui per meritare la grazia della conversione ai
peccatori ostinati che rifiutano la Redenzione ormai compiuta. Per
essere salvi non basta – come ha insegnato quel disgraziato di Lutero e
il suo moderno epigono ripete – convincersi di esserlo con una vaga fede
in Cristo crocifisso. La «Maria abbozzata da sensibilità soggettive»,
in realtà, è proprio quella di Bergoglio, una «Santina» che ci
incoraggia a confidare in una salvezza «a basso costo».
Ma ora, una volta respinte al mittente queste banali accuse con cui la
massoneria si vendica di una mariofania che l’ha umiliata come
nessun’altra, distogliamo lo sguardo da queste sciocchezze e
rivolgiamolo altrove. Di nessun papa abbiamo mai scrutato il più piccolo
motto fino a perderci il sonno; perché dargli questa soddisfazione?
Anziché farci risucchiare nel vortice dello sdegno o, all’opposto,
affannarci a raccogliere brandelli di cattolicità disseminati apposta
per rassicurare i normalizzatori, imitiamo Francesco e Giacinta senza
timore di apparire anacronistici: offriamo generosamente le nostre
sofferenze a Dio mediante il Cuore immacolato di Maria per la
conversione dei peccatori e l’autentico rinnovamento della Chiesa. Non è
già forse un terribile dolore sentirsi orfani di Madre e di Pastore?
Pensate a quanti rischiano di rimanere eternamente senza Dio per giusto
castigo della loro ostinazione nel peccato, non perché abbiano “scelto”
l’Inferno quasi fosse un’opzione fra le tante, come sostiene ancora il
nostro dottorando in teologia… e adorate i disegni dell’infinita
misericordia divina (quella vera, non l’immaginario colpo di spugna),
che giunge a chiedere ad altri, in virtù della Comunione dei santi, di
espiare e meritare al loro posto perché ciò non avvenga. Questo non è
intellettualismo, né sentimentalismo, né sensibilità soggettiva o chissà
cos’altro… ma la via della santità.
chiesaepostconcilio.blogspot.it/2017/05/don-elia-fatima-liquidata.htm
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