Solleva la mia stanchezza di Redentore incompreso.

Resta con Me, Matteo. In cielo non vi è luna, ma almeno brillano le stelle. Nel mio cuore questa sera non ci sono che lacrime. La tua compagnia sia la stella dell'afflitto Maestro tuo...» «Ma, Maestro, se posso... figurati! E che io sono un grande infelice sempre, un povero inetto. Ho troppo peccato per poterti piacere. Non so parlare. Non so ancora parlare le parole nuove, pure, sante, ora che ho lasciato il mio antico linguaggio di frode e lussuria. E temo che non sarò mai capace di parlare con Te e di Te». «No, Matteo. Tu sei l'uomo, con tutta la tua penosa esperienza d'uomo. Sei perciò quello che, per aver mangiato il fango ed ora per mangiare il miele celeste, puoi dire i due sapori e dare, di essi, la vera analisi, e capire, capire, e far capire ai tuoi simili di ora e di poi. E ti crederanno, perché appunto tu sei l'uomo, il povero uomo che, per sua volontà, diviene l'uomo, il giusto uomo sognato da Dio. Lascia che Io, l'Uomo-Dio, mi appoggi a te, umanità che amo fino a lasciare il Cielo per te ed a morire per te ». «No, morire no. Non dirmi che per me muori!». «Non per te, Matteo, ma per tutti i Mattei della terra e dei secoli. Abbracciami, Matteo, bacia il tuo Cristo, per te, per tutti. Solleva la mia stanchezza di Redentore incompreso. Io ti ho sollevato dalla tua di peccatore. Asciuga il mio pianto... perché di essere da così pochi capito, Matteo, è la mia amarezza ». «Oh! Signore, Signore! Sì! Sì!...» e Matteo, seduto presso il Maestro che cinge con un braccio, lo consola col suo amore...

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