Fatima e Benedetto XV

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La Profezia di Fatima e Papa Benedetto XV
Juan Donoso Cortes inizia il suo noto «Ensayo sobre el Catolicismo, el Liberalismo y el Socialismo» (BAC, Madrid, 1970) dicendo: «Proudhon ha scritto nelle sue 'Confessioni di un rivoluzionario' queste parole notevoli: 'E' sorprendente vedere in che modo in ogni nostra questione politica inciampiamo sempre nella teologia'. Non vi è niente qui che sorprende se non la sorpresa di Proudhon. La teologia, per il fatto di essere la scienza di Dio, è l'oceano che contiene e racchiude tutte le scienze, così come Dio è l'oceano che contiene e racchiude tutte le cose».
Parlare di Fatima è parlare di teologia e si può iniziare a farlo elencando alcune semplici considerazioni.
La prima, che in quel periodo, ancora, si era apertamente pro o contro Dio e Gesù Cristo e Proudhon voleva, come Voltaire e la Massoneria, «écraser l'infâme».
Infatti, la dottrina massonica si riassumeva nella bestemmia di Proudhon, gloria della setta: «Le premier devoir de l'homme intelligent est de chasser incessament l'idée de Dieu de son esprit et de sa conscience».
La seconda, che questi autori sono stati profeti degli eventi moderni proprio nella misura della loro «teologia»: profeta fasullo Proudhon; proprio il contrario Donoso Cortes, che scrutava fedelmente il senso cristiano della storia e fu chiamato il profeta saggista e diplomatico, perché aveva saputo prevedere, già allora, la gestazione del leviatano sovietico.
La terza, che oggi, a questa opposizione diametrale di visioni storiche è subentrata la più grande indifferenza, specialmente negli ambienti clericali, occupati a scambiare la teologia con la sociologia.
Anche questi fatti farebbero parte della gran rovina spirituale profetizzata?
Quando e in che modo si è ingenerato questo crollo «teologico»?
Ecco cosa deve farci meditare trattando della Profezia di Fatima.
Veniamo allora ad alcuni concetti poco ricordati della teologia cattolica.

Se il cattolicesimo racchiude la verità completa sull'uomo, come crediamo, la storia deve avere un senso cristiano, ossia un disegno soprannaturale sovrapposto all'ordine naturale sempre che sia questione del fine ultimo dell'uomo.
Ciò riguarda la società umana infettata dall'inizio da ribellioni e rivoluzioni continue contro lo stesso ordine naturale e divino che condiziona la vita terrena, una dipendenza insopportabile per l'orgoglio umano.
Abbiamo allora la rivoluzione intesa come volontà umana che si vuole libera di piegare la realtà, di invertire l'idea di un senso e di un ordine inerente al creato, accusato di avere esempi di assassinii, di malattie, di siccità, di bufere, di terremoti.
Per tale rivoluzione la mente umana doveva impegnarsi ad affrancarsi da Dio, seguendo l'equazione terminale cui era approdata l'intellighenzia razionalista: se Dio può evitare questi mali ma non vuole, non è buono; se lo vuole ma non può, non è Dio.
Ecco il gran sofisma dell'ateismo discusso nei tempi di Voltaire e compagni, anche considerando il gran terremoto di Lisbona del 1755, tutt'oggi testimoniato da una cattedrale sventrata.
Tale sofisma ha segnato la storia dopo aver ingenerato la «crisi della coscienza europea» (Paul Hazard), mettendo in ridicolo la risposta cristiana alle questioni del dolore e della morte come «prova» di questa vita, che non esclude i cataclismi terreni, ma considera che i mali reali non procedono dall'esterno, ma dall'intimo degli uomini (confronta Marco 7, 15).
Ad ogni modo, si noti come tutta questa «crisi» non fosse indirizzata a risolvere dubbi, ma alla presa del potere, del potere rivoluzionario che oggi impera ovunque in nome di un'antiteologia che vuole mutare la realtà del mondo che trascende la mente umana del «buon selvaggio» incatenato da un Dio tiranno a delle verità immutabili!
Ecco come è lievitata pericolosamente nei tempi dei progressi moderni l'idea del potere umano che con la «morte di Dio» si sarebbe finalmente emancipato.
A tale delirio «religioso», mascherato da filosofia atea e sviluppatosi come scienza infallibile, mancava soltanto di «liquidare» il cristianesimo e l'autorità che rappresenta Dio in terra per produrre i frutti finali di un nuovo «ordine mondiale rivoluzionario».
Tali idee utopiche si sarebbero dimostrate nefaste attraverso interminabili guerre internazionali e poi delitti e aborti sul piano nazionale.
A cosa era stata ridotta la teologia?
Alle iniziative di taluni che di fronte al ricordo di stragi passate invocavano pubblicamente Dio per domandare: dove ti eri nascosto in quei giorni?
A questo punto di profondo degrado della visione cattolica si deve tornare alla lezione essenziale di Gesù, venuto a perfezionare non solo la legge, affidata ai suoi Pontefici, ma la profezia, svelata ai suoi santi. (Matteo 5, 17).
La rivelazione della legge e dei profeti è compiuta con la morte dell'ultimo apostolo, ma i fatti profetizzati devono compiersi fino alla fine di tempi (Matteo 5, 18).
Chi ci avvertirà allora della subdola scalata al potere della bestia incombente?

Questa introduzione al messaggio di Fatima si è fatta necessaria perché fino ad ora gli uomini della Chiesa non sanno come classificarla.
Oggi la nozione d'intervento o mediazione profetica «fisica strumentale» è sconosciuta nelle aule di teologia.
Eppure gli studiosi sanno di essere di fronte ad una lacuna, tanto più ampia quanto è viva la realtà dei messaggi di Maria, che trascende le semplici rivelazioni private.
Non sarà che per frenare i deliri umani, intenti a cambiare la realtà delle cose e della società, invece che l'uomo, propenso ad ogni bestialità, ha operato l'intervento divino della legge e dei profeti?
Ma come la Chiesa vede queste profezie?
Ora, il cristianesimo non è forse la religione dell'intervento divino nella polis terrena con la mediazione redentrice di Gesù Cristo, il quale dopo la Sua ascensione ha lasciato la Chiesa per applicare il Suo intervento di conversione?
E non è forse vero che all'inizio del XX secolo lo stato lamentevole del mondo richiedeva un immane intervento soprannaturale per sanare storture micidiali di un disordine mondiale mai visto?
Ora, l'intervento nel piano in cui gli uomini possono operare, velato in modo da preservare proprio quanto andava salvato - la libera  volontà umana - solo può essere suscitato da Dio, che sa e vuole salvare noi, poveri peccatori.
Non siamo così arrivati all'intervento profetico, al tema di quella «teologia» essenziale, pratica, storica di cui parlava Donoso Cortes?
Il suo termine non è l'intervento divino da sempre profetizzato, perché «il Signore non fa niente (in questa sfera velata) senza aver rivelato il Suo disegno ai Suoi servi, i profeti»? (confronta Amos 3. 7).
Non si tratta forse della «mediazione universale di Maria» voluta da Dio per gli ultimi tempi? (confronta san Luigi Maria Grignion di Monfort, «Trattato della vera devozione a Maria»).
Il noto mariologo padre Gabriele Roschini colloca così la questione di fede: «E' discusso se nella mediazione mariana, oltre la causalità morale (quella d'intercessione), sia da ammettere pure la causalità fisica strumentale [quella d'intervenzione?]» («Dizionario di Mariologia», Studium, Roma, 1961, pagina 349; EC, volume XIII, pagina 576).


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